Il Caching
Nella maggior parte dei browser vi è una funzione che memorizza una copia delle pagine web che vengono man mano consultate, costruendo una cronistoria delle pagine più recentemente visitate. Ciò consente all'utente di ritornare rapidamente a pagine o a siti precedentemente consultati, premendo sul pulsante "back" del menu del browser ovvero selezionando una determinata pagina dalla cartella (solitamente) denominata "cronologia" oppure "history". Grazie al caching si ottimizza l'accesso riducendo la congestione della rete e si compensano così le lentezze date dall'attuale limitatezza della banda di trasmissione.
In particolare, la riproduzione delle pagine web consultate viene immagazzinata in una parte della memoria - detta memoria "cache" - sia del computer dell'utente che del server del provider[1]. Le copie immagazzinate nella memoria cache (che per brevità chiameremo "copie cache") sono solitamente temporanee, con una vita che può variare da pochi secondi a qualche settimana, sebbene possano - tecnicamente - durare anche più a lungo.
Il caching comporta a tutti gli effetti una riproduzione e, come tale, dovrebbe rientrare nei diritti esclusivi del titolare dei diritti di proprietà intellettuale. E' tuttavia evidente la difficoltà di applicare un simile regime ad un'attività - così come il browsing - funzionale al metabolismo di internet.
Tuttavia le copie cache possono integrare una violazione del diritto di riproduzione esistente in capo a ciascun titolare delle pagine visitate, così come una violazione del diritto di diffusione e/o di distribuzione, qualora evidentemente il loro utilizzo oltrepassi la semplice natura strumentale. Sarà quindi il caso in cui le copie cache vengano memorizzate sul hard disk, laddove tale operazione configurerà una riproduzione soggetta all'autorizzazione del titolare (salvo l'uso personale), oppure il caso in cui dette copie vengano ulteriormente ritrasmesse. Benché sia una procedura che comporta notevoli vantaggi a livello tecnologico, il caching può tradursi in una minaccia per il titolare dei diritti di proprietà intellettuale di opere in rete.
In primo luogo, il caching impedisce un controllo fedele sull'accesso al contenuto tutelato: infatti, il titolare di tale contenuto potrà avere visibilità solo sugli accessi alle pagine effettuati direttamente sul proprio server, mentre non potrà intervenire su quel "sommerso" di accessi che vengono effettuati alle copie memorizzate localmente.
Secondariamente, il titolare del contenuto non potrà aver il controllo degli aggiornamenti circolanti: copie cache di versioni superate del sito o di singole pagine web che per vari motivi vadano eliminate, non possono essere rimosse. A ciò consegue che, per esempio, il titolare al quale sia stato ingiunto dalle pubbliche autorità di rimuovere un contenuto ritenuto diffamatorio, non potrà eseguire completamente tale ingiunzione per via delle copie cache eventualmente esistenti e potrà quindi rimanere passibile di ulteriore responsabilità per le copie del contenuto diffamatorio ancora circolanti. Ancora, il caching toglie attendibilità ai sistemi di conteggio degli accessi (ad es. i contatori di utenti) al server del titolare del contenuto, per via degli accessi "paralleli" su copie cache, dei quali, come sopra detto, il titolare non può avere riscontro[2]. Il conteggio degli accessi è determinante per stabilire, attraverso il numero di "contatti" registrati, il valore commerciale dei banner pubblicitari del sito, che spesso costituiscono la principale fonte di reddito per il titolare del sito stesso. Infine, il caching impedisce la trasmissione di messaggi intermittenti o variabili, come ad esempio gli annunci pubblicitari che di volta in volta appaiono nei banner, seguendo precisi criteri di rotazione. La copia cache riproduce infatti una "fotografia" della pagina web quale essa si presentava al momento della memorizzazione e non interagisce più con il server d'origine, cosicché i dati che in tale pagina sarebbero soggetti a continua modifica non possono aggiornarsi.
Naturalmente, così come per il browsing, le riproduzioni cache, per potersi ritenere lecite e non in violazione delle norme sul copyright, debbono avere una finalità specifica ed una vita limitata. Il recente Digital Millennium Copyright Act, emanato dal Congresso degli Stati Uniti nell'ottobre del 1998, tratta specificamente la questione del caching; in particolare, il caching non integra violazione di copyright e quindi alcuna responsabilità per il provider - o comunque per il soggetto che, in via intermedia, memorizzi il contenuto proveniente da un server per ritrasmetterlo ad altro server - purché soddisfi determinate condizioni, tra le quali si ricorda: il fatto che il contenuto rimanga inalterato durante la memorizzazione transitoria; il fatto che il provider si conformi alle disposizioni riguardanti l'aggiornamento o la rimozione di tale contenuto dettate dal soggetto che immette tale contenuto in rete dall'origine; nel caso di contenuti accessibili mediante password o a pagamento, il fatto che il provider si conformi alle regole dettate dal titolare di tali contenuti e non consenta accessi alternativi che consentano di aggirare tali password; il fatto che il provider prontamente si attivi nel rimuovere contenuti che risultino essere stati immessi in rete senza l'autorizzazione del titolare dei relativi diritti.
Dott. Fabio Puliafito
[1] Si parla nel primo caso di client caching, nel secondo di proxy caching.
[2] Cfr. Manuale di Commercio Elettronico - Profili di Marketing, Giuridici, Fiscali, le forme di incentivazione alle imprese, E. M. Tripodi, F. Santoro, S. Missineo, con la collaborazione di A. Busseto, Giuffrè, 2000, Milano, pp 357-358.