La Convenzione di Parigi del 1883 e l'art.2598 c.c.
Nel nostro paese, il legislatore è intervenuto tardivamente nella disciplina della sleale concorrenza, e quasi come una estensione anche ai rapporti interni fra cittadini italiani di una norma introdotta nel 1925 nella Convenzione d'Unione per la tutela della proprietà industriale [1]. Questa convenzione, è la più importante in materia, ed è stata originariamente stipulata a Parigi il 20 marzo 1883.

Essa col tempo è stata sottoposta a numerose modifiche e revisioni, ed in particolare quella dell'Aja nel 1925, ha portato all'inserimento dell'art.10-bis sulla concorrenza sleale.
Art. 10 - bis (Concorrenza sleale) [2]
1. I Paesi dell'Unione sono tenuti ad assicurare ai cittadini dei Paesi dell'Unione una protezione effettiva contro la concorrenza sleale.
2. Costituisce un atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale.
3. Dovranno particolarmente essere vietati:
1) tutti i fatti di natura tale da ingenerare confusione, qualunque ne sia il mezzo, con lo stabilimento, i prodotti o l'attività industriale o commerciale di un concorrente;
2) le asserzioni false, nell'esercizio del commercio, tali da discreditare lo stabilimento, i prodotti o l'attività industriale o commerciale di un concorrente;
3) le indicazioni o asserzioni il cui uso, nell'esercizio del commercio, possa trarre in errore il pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le caratteristiche, l'attitudine all'uso o la quantità delle merci.

L'art.10-bis inserito nella Convenzione nel 1925, è stata l'unica disciplina in materia di concorrenza sleale fino al 1942, anno dell'entrata in vigore del nuovo Codice Civile Italiano. A distanza di quasi vent'anni il nostro legislatore prendeva in considerazione il problema legato a questa materia attraverso l'art. 2598, norma sostanzialmente inspirata all'articolo della convenzione.

Art.2598 - Atti di Concorrenza Sleale:
Ferme restando le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito, o si 'appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente;
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza pro-fessionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

Nella convenzione vengono indicate una serie di atti tipici considerati Sleali, ma dato che la fantasia umana non ha limiti e gli atti di concorrenza sleale possono compiersi nei modi più svariati, è stata appositamente inserita una clausola generale al secondo comma:
Costituisce un atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale. (art.10-bis, 2comma,Convenzione di Parigi )
Partendo proprio da questa clausola generale di: "..contrarietà agli usi onesti in materia industriale o commerciale", possiamo confrontarla con l'ipotesi generale prevista nel nostro codice civile all'art.2598 punto 3.
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda. (art.2598 c.c. punto3).
In questo caso il legislatore crea una definizione generale basandolo sulla "non conformità ai principi di correttezza professionale" avvalendosi direttamente di ogni altro mezzo lesivo dei principi della libera concorrenza.
Osservando queste due definizioni,"usi onesti"(Conv. di Parigi) e "correttezza professionale"(Codice Civile Italiano del '42) notiamo che a parte la differente tecnica linguistica, si riferiscono entrambi allo stesso comportamento.

Dalla differenza delle due norme e dalla loro contemporanea vigenza potremmo pensare che la disciplina della sleale concorrenza in Italia abbia come necessaria conseguenza il loro coordinamento e la loro reciproca integrazione, ma non è così. Infatti né la dottrina né la giurisprudenza si sono mai occupate dell'art. 10-bis, applicando ed interpretando per la concorrenza sleale solo ed esclusivamente l'art. 2598 c.c. Questo perché le due discipline si somigliano molto e nella parte in cui si differenziano la nostra normativa codicistica è sempre stata ritenuta più severa rispetto alla Convenzione, che all'art. 10-bis realizza la tutela minima contro la concorrenza sleale da assicurare ai cittadini dell'Unione. Quando il legislatore del '42 si è ispirato all'art.10-bis per stilare la relativa normativa italiana riguardante la concorrenza sleale, ha inoltre realizzato una disciplina dei rimedi [3] (azioni inibitorie e azioni di risarcimento del danno) anche in assenza di colpa o dolo, partendo dalle norme presenti nella Convenzione stessa.

Precisamente, il codice considera, attraverso la clausola generale contenuta del n.3 dell'art.2598 c.c. come atti di concorrenza sleale tutti gli atti contrari ai principi di correttezza professionale; prevede la possibilità dell'azione di inibizione (art.2599) e dell'azione di risarcimento del danno (art.2600); subordina l'esperibilità di entrambe le azioni al verificarsi non già di un danno attuale, ma del solo pericolo del danno, consistente nella idoneità a danneggiare l'altrui azienda; subordina infine, l'esperibilità dell'azione di risarcimento del danno alla sussistenza del dolo o della colpa, ma prevede anche che "accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume".

Autori vari


[1] Cfr. Manuale di Diritto Industriale, A.Vanzetti,V. Di Cataldo, Giuffrè Editore,2000, pp. 5 e ss.
[2] Art. 10-bis della "Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà intellettuale" del 20 marzo 1883, riveduta a Bruxelles il 14 dicembre 1900, a Washington il 2 giugno 1911, all'Aja il 6 novembre 1925, a Londra il 2 giugno 1934, a Lisbona il 31 ottobre 1958 e a Stoccolma il 14 luglio 1967.
[3] Cfr. Manuale di Diritto dell'Informatica, E. Giannantonio, Cedam, 1994, pag. 132 e ss