L'HyperLinking e il Surface Linking
Come sappiamo, la caratteristica principale del linguaggio HTML (il linguaggio delle pagine web) è l'ipertesto, ovvero la possibilità di collegarsi da un punto ad un altro di un determinato contenuto "cliccando" su parole attive chiamate hot-word. Si può quindi "saltare" da una pagina web ad un altra, ma anche, quando alla hot-word è collegato un indirizzo internet (URL), da un sito web ad un altro.
Il funzionamento stesso della comunicazione via internet è basato proprio sui collegamenti ipertestuali (hyperlinks): si pensi ad esempio alle inserzioni pubblicitarie (i c.d. banner) che si incontrano visitando un determinato sito, cliccando sui quali ci si collega al sito dell'inserzionista. Oppure si pensi a quei siti che, tra gli altri contenuti che offrono, mettono a disposizione dell'utente elenchi di collegamenti (links) con altri siti ove poter trovare informazioni o altro materiale connesso al settore di interesse.
L'utilizzo del hyperlinking si è via via incrementato, tanto da dare vita ai cosiddetti meta-siti, ovvero siti web il cui contenuto è essenzialmente una raccolta di collegamenti ad altri siti. Ma se il collegamento ipertestuale è funzione organica alla natura stessa di internet, sorgono tuttavia conflitti tra il diritto di accedere liberamente alle informazioni sulla rete, da una parte, ed il ritorno economico che da esse si attendono i relativi titolari, dall'altra. I problemi principali nella prassi del hyperlinking sono di due tipi. Il primo attiene alle violazioni di diritti di proprietà intellettuale, che occorrono nel momento in cui il contenuto tratto da un sito viene presentato nel meta-sito senza i dovuti riferimenti al legittimo titolare dei diritti, ingenerando così nell'utente la convinzione che tale contenuto provenga, in via originaria, dal meta-sito. Si verificano così fattispecie di violazione che vanno dall'usurpazione, al plagio, alla contraffazione. Vi è poi un secondo problema: ferma restando la non violazione di marchi o di diritti di proprietà intellettuale, fino a che punto è lecito che un meta-sito tragga liberamente contenuti da un altro sito?
Si tratta, in altre parole, della pratica del c.d. deep linking (già esaminato nei paragrafi precedenti): collegarsi ad altri siti "in profondità", stabilendo, cioè, link verso il "nocciolo" del contenuto di tali siti richiamati, scartandone la "buccia", rappresentata dalla sequenza di pagine (informative, pubblicitarie, ecc...) che l'utente dovrebbe percorrere prima di arrivare al contenuto in questione, se accedesse al sito richiesto attraverso la porta principale, cioè la home page. A tal riguardo, va osservato che esistono precise esigenze perché le pagine di un sito web vengano consultate secondo l'ordine logico dato dal titolare del sito (partendo quindi dalla homepage, per passare alle directory, alle sottodirectory, ecc...), anziché essere estratte dal loro contesto, come appunto avviene attraverso l'hyperlinking da un meta-sito. Per esempio, le pagine iniziali solitamente contengono avvisi di carattere legale che dettano le condizioni per l'utilizzo dei contenuti offerti nel sito: l'utente che, attraverso un hyperlink da un altro sito, venga collegato direttamente a tali contenuti, accede ad essi senza conoscere (e quindi senza aver potuto accettare o meno) le relative condizioni di utilizzo. Ancora, le pagine iniziali quasi sempre contengono annunci pubblicitari che generano introiti per il titolare del sito; l'accesso diretto attraverso hyperlink a determinate pagine di tale sito, comporta che gli annunci pubblicitari vengano aggirati, facendo così diminuire gli accessi alle pagine che riportano i banner pubblicitari.
Ne consegue che il sito richiamato, ovvero quello che fornisce il contenuto al meta-sito, subisce un danno economico dato dalla diminuzione del proprio valore commerciale (meno contatti nelle pagine inserzionate = deprezzamento degli spazi pubblicitari), mentre il meta-sito fruisce di un ingiusto vantaggio economico per i contatti raccolti grazie ai contenuti dell'altro. Si potrebbero perciò profilare, in assenza di specifiche violazioni del diritto d'autore, fattispecie di concorrenza sleale.
In giurisprudenza, troviamo Shetland Times Limited vs. Jonathan Wills and Zetnews Ltd., questo caso, meglio noto come quello riguardante le testate Shetland Times e Shetland News, si può senz'altro ritenere un caso di scuola in tema di hyperlinking. Si tratta di due testate giornalistiche scozzesi, rivali, entrambi accessibili anche in rete attraverso propri siti web. Nel sito di Shetland News sono presenti hotwords che consentono hyperlinks diretti con articoli pubblicati su Shetland Times. Cliccando sulle hotword (costituite dagli stessi titoli degli articoli), il lettore di Shetland News ne richiama il relativo contenuto dal sito Shetland Times senza rendersene conto, in quanto tale contenuto gli viene presentato senza gli opportuni riferimenti bibliografici e senza le dovute citazioni. L'impressione finale del lettore è quindi quella di accedere a pagine del medesimo sito web. E' evidente in questo caso la violazione dei diritti di proprietà intellettuale, consistente nel plagio operato da Shetland News nei confronti di Shetland Times, che infatti ottiene gli opportuni provvedimenti cautelari da parte dell'autorità giudiziaria scozzese. La controversia viene poi composta nel senso che Shetland News potrà seguitare ad effettuare hyperlinks con articoli di Shetland Times a condizione che sia resa ben evidente al lettore la provenienza di detti articoli e la titolarità da parte di Shetland Times e che a fianco di ogni articolo riprodotto sul sito Shetland News vi sia un hyperlink alle pagine iniziali del sito Shetland Times.
Ora, dopo aver chiarito i caratteri dell'HyperLinking, possiamo fare un ulteriore distinzione, riguardante il linking. Potremmo definire come una grande e generale categoria l'HyperLinking e come 2 sotto categorie il Deep Linking e il Surface Linking. Soffermandoci su quest'ultima, possiamo definirla come un link che si limita a trasportare l'utente ad un altro sito web, transitando per l'hompage.
Quindi se il deep linking sarà da ritenersi sempre e comunque lesivo dei diritti altrui, qualche perplessità sorge in merito alla diversa ipotesi del surface linking, perché agganciandosi alla pagina principale (l'hompage) del sito altrui, consente la piena identificazione del titolare dell'informazione fornita, sì da escludere quindi, qualsiasi ipotesi di confusione, sviamento di clientela ed approfittamento parassitario; tale tesi risulta vera, tuttavia, a condizione che si ritenga fondata la teoria in forza della quale qualunque entità imprenditoriale che si collega alla rete implicitamente invita gli altri partecipanti a costruire un link nei suoi confronti ( il c.d. "implied license to link")
Ove non si ritenga di aderire a detto orientamento, anche il surface linking potrebbe assumere rilievi di illiceità. In assenza di espresso consenso dell'entità "agganciata", in vero, l'apposizione del "link" sul proprio sito costituirebbe sempre violazione del diritto esclusivo altrui sulla proprietà intellettuale ed industriale.
Peraltro anche ammettendo l'esistenza della licenza implicita, ai fini della liceità del surface linking, occorre, altresì, che tale link venga indicato sul proprio sito in modo corretto ed equilibrato sì da evitare ipotesi di confusione nel pubblico circa l'associazione tra le due entità e soprattutto in modo tale da non danneggiare gli interessi dell'entità agganciata.
Pertanto, il surface linking[1] sarà lecito nei limiti in cui non venga utilizzato in modo improprio cioè a dire in modo tale da denigrare il titolare del sito agganciato, o i suoi prodotti, o da far ritenere sussistente un particolare rapporto associativo: ciò può avvenire, ad esempio, quando il link venga effettuato attraverso un'immagine grafica che nulla ha a che fare con l'attività del sito collegato o che comunque può essere lesiva della sua reputazione commerciale (ad esempio il sito B offre in vendita automobili e sul sito A il link è rappresentato da un'immagine grafica raffigurante un auto in pessime condizioni o vetusta) ovvero quando il link conduca l'utente ad un sito "civetta" appositamente creato per screditare e sviare clientela della società indebitamente agganciata.
Dott. Fabio Puliafito
[1] I problemi giuridici di Internet: dall'E-Comemrce all'E-Business, E. Tosi, M. Barbarisi, 2001, Giuffrè, Milano, pp. 320 e ss.